PATTO FEDERATIVO

PATTO FEDERATIVO tra movimenti/partiti politici

 

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Il giorno venerdì 24 (ventiquattro) settembre dell’anno 2012 (duemiladodici) in Santa Giusta (Or), le seguenti formazioni politiche:

 

  • Movimento Nazionalitario Fortza Paris, rappresentato dal Presidente Sig. Gianfranco Scalas ;

  • Movimento del Popolo Sardo, rappresentato dal Presidente Sig. Ercole Salis;

  • Movimento Sardegna e Territorio, rappresentato dal Presidente Sig. Giuseppe Pettinaro,

 

a seguito di diversi incontri interlocutori, durante i quali è emersa, per un verso, la comunanza interpretativa dell’attualità politica e la condivisione di approccio alla soluzione dei problemi dei sardi e, per altro verso, la diversità di provenienza politica e di esperienza vissuta in diversi ambiti e realtà culturali che inducono alla ricerca di un alleanza operativa attraverso un patto federativo e, pertanto,

sottoscrivono la volontà di federarsi tra loro

con il fine di unire le diverse sensibilità politiche e civiche che si riconoscono nei valori della sardità e della rappresentanza territoriale, perseguendo gli obiettivi meglio definiti nel verbale in allegato “A” sottoscritto in Macomer (Nu) e sintesi delle priorità precedentemente emerse. Il verbale di cui sopra costituisce parte integrante del presente Patto.

 

La durata non è definita.

 

I Movimenti/Partiti, per tutta la durata della loro partecipazione al Patto Federativo, si impegnano ad osservare le regole di buona convivenza nonché le scelte che di volta in volta emergeranno dal confronto democratico.

 

Ciascun Movimento/Partito aderente potrà in qualsiasi momento recedere comunicandone la decisione.

 

Il presente Documento potrà essere modificato e/o integrato con elementi che potranno essere ritenuti necessari per migliorare il rapporto in essere o favorirne quello futuro.

 

 

Santa Giusta, 24 settembre 2012

 

 

Letto e firmato

(Il presente Patto s’intende approvato anche con dichiarazione disgiunta degli interessati)

 

 

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incontro politico inteso a siglare un accordo per una nuova fase di governo della Sardegna e dei suoi Territori

(Allegato “A”)

verbale

In data lunedì 13 agosto 2012 si sono incontrate in Macomer (NU) le seguenti formazioni politiche:

  • Movimento Nazionalitario Sardo FORTZA PARIS, rappresentato dal suo Presidente Gianfranco Scalas;

  • Movimento Sardegna e Territorio, rappresentato dal Sig. Giuseppe Pettinaro;

  • Movimento del Popolo Sardo, rappresentato dal Sig. Ercole Salis.

 

È stato nominato Segretario, con l’unico compito di redigere il presente verbale, Massimo Carboni.

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Dalla lunga discussione è emersa l’esigenza di porre le basi per unire le esperienze e le conoscenze consolidate, tra le suddette istituzioni sociali, unanimemente caratterizzate dal bisogno concreto di valorizzazione dell’identità sarda in un modello economico sociale di mercato. In seguito si procederà all’elaborazione di un progetto organico, culturale ed amministrativo, per concorrere attivamente allo sviluppo della Sardegna e dei suoi Territori.

 

Tutti sono convenuti sul fatto che è in atto una profonda rivoluzione culturale. L’indignazione è figlia di coloro che vogliono partecipare al cambiamento, contro la degenerazione della politica. Genitori e figli agiscono maturando una coscienza cognitiva. Essi rappresentano una fascia enorme d’individui altrimenti destinati alla marginalità sociale. La gente chiede lavoro, cura degli anziani, investimento sui giovani e sulla sicurezza. L’indignazione è presupposto per affermare un riscatto identitario in grado di affermare un’Italia dei popoli in una Europa delle specialità; una Sardegna sovrana in una Italia Federale.

 

La mancanza di fiducia verso la politica ha logorato quel poco di senso civico rimasto nonché la disponibilità a cooperare per migliorare le nostre città. Essa è anche la conseguenza dell’opacità dietro la quale si nascondono troppi amministratori e troppi responsabili politici. Una cortina nebbiogena innalzata per non rendere conto del proprio operato ampiamente clientelare, che favorisce i furbi e relega gli onesti in uno stato di subalternità. La conseguente bassa efficienza e improduttività della spesa pubblica creano ed alimentano una rete dissipativa che ci trattiene in uno stato d’ibernazione.

 

Ciò che i cittadini contestano è il modo irresponsabile ed indecoroso con cui è stata trattata la questione sociale e lo sviluppo. Irresponsabile perché i cittadini sono stati considerati soggetti incapaci. Indecoroso, perché l’inadeguatezza di questa classe dirigente, insensibile ed autoreferenziale, non ha prodotto proposte evidentemente serie e coerenti. I cittadini stanno assolvendo un dovere: costruire ulteriori e nuove “istituzioni sociali” oltre le ideologie. Chiedono trasparenza perché credono nella responsabilità e nel merito. Così facendo, gli indignati, pongono le basi per superare la sindrome d’impotenza indotta; combattono il “familismo radicato e amorale”. È necessario che la politica ascolti la piazza e torni tra la gente.

 

Sussidiarietà e federalismo incompiuto; rapporti ed interrelazioni che avrebbero dovuto rendere il cittadino partecipe delle scelte di governo; cittadino a cui è spesso impedito di essere regista della costruzione di un percorso di crescita armonica. Il federalismo è un principio moderno, democratico e condiviso, ma tarda ad affermarsi. La politica ispirata all’arte di “governare la società” prevale sul pluralismo e sul bisogno di trasparenza. Il dominio della confusione tra potere e responsabilità acuisce il divario tra elettore e rappresentante. Il rapporto cittadino-politico si allontana sempre più, rompendo gli equilibri già instabili di un sistema costruito faticosamente. Si è passati dalla Prima alla Seconda Repubblica senza che nessuno si sia accorto di alcun miglioramento. Si è rafforzato il centralismo sostanziale e alimentato una classe dirigente ampiamente nominata.

 

Pochi gli uomini e le donne libere che, ovviamente, hanno difficoltà a prevalere nella giungla contagiosa del pressappochismo interessato. I problemi che attanagliano i singoli e le famiglie crescono e si rafforzano nella confusione. Ci vuole una nuova iniezione di fiducia. Bisogna invertire la piramide ponendo alla base i rappresentanti ed al vertice il confronto sociale. Bisogna affermare chiari e duraturi valori etici e morali. La nuova arte deve essere “governare con la società”.

 

Nel frattempo, continuiamo a subire una globalizzazione che ci induce a usare il territorio come uno spazio unico, in cui le risorse locali sono solo beni da trasformare per il consumo, trascurando la sostenibilità socioambientale. Le specificità territoriali, ambientali, culturali e umane sono superate dal prevalere del concetto di consumo rispetto alla produzione.

 

Questa omologazione va superata con un nuovo progetto culturale che valorizzi le identità, attraverso la promozione di processi di “autonomia cosciente e responsabile”. Lo sviluppo deve identificarsi con la crescita delle reti civiche e della cooperazione, puntando su una forma di globalizzazione dal basso che non sia gerarchica, ma solidale. I comuni, attraverso l’assunzione concreta di funzioni dirette di governo, dovranno essere il punto di partenza di un nuovo processo economico, ispirato all’economia sociale di mercato, attivando comportamenti attivi in cui trasparenza e partecipazione siano elementi trainanti di nuove espressioni di esercizio della democrazia (libertà e giustizia). Solo così si potrà consentire l’impianto di nuove forme d’impresa integrate e capaci di prendersi cura dell’ambiente.

 

Le politiche attendiste e centraliste sono infruttuose. La realizzazione di “nuovi istituti di decisione” consentirà un “nuovo disegno di futuro” localmente condiviso e sostenuto. I nuovi attori del domani sono i cittadini nelle loro articolazioni sociali; con le loro professionalità ed esperienze. Produrre “nuovi scenari sociali” significa anche attuare “nuove relazioni tra popoli e culture diverse”. Le politiche settoriali vanno superate per guardare al progresso con un nuovo approccio di “gestione integrata” autosostenibile. Spetta ai comuni decidere cosa, come, quando e dove produrre per creare “valore aggiunto locale condiviso” senza trascurare le biodiversità. La “valorizzazione territoriale è indivisibile”, non si possono salvaguardare alcuni aspetti, trascurandone altri.

 

Qual è il progetto che l’attuale classe dirigente ha in testa per far crescere la Sardegna? Una domanda che continua a rimanere inevasa. Contemporaneamente l’Isola continua ad arretrare, amplificando i drammi individuali e sociali della crisi generale.

 

Ogni cinque anni si lancia un’alternativa partitica, un’alleanza più o meno amalgamata che si impone mediaticamente all’elettore con programmi disarticolati ed aleatori. La parola “sistema” continua a rimanere lettera morta e la parola “progetto” un sogno. Come se la politica potesse davvero essere ricondotta in una sterile e fredda offerta promozionale. Si analizzano i punti di saturazione e si rilancia lo stesso prodotto con nuovi simboli colorati e denominazioni populiste. Quando la crisi economica imperversa, mancano le risorse finanziarie ed il conseguente ottimismo sociale. Allo stesso modo, se la politica diventa anch’essa un prodotto, entra in crisi quando a mancare è la fiducia, da intendersi quale principale mezzo di scambio.

 

Come emerge dal 19esimo rapporto Crenos, il centro di ricerca dell’Università di Cagliari e Sassari, la Sardegna non è competitiva. Ciò dipende principalmente, secondo professor Giovanni Sulis, “dalla carenza di infrastrutture, da una scarsa propensione all’innovazione e da una bassa dotazione di capitale umano”. Anche il turismo stenta ad assumere un ruolo centrale nelle prospettive di sviluppo. “Diminuiscono gli arrivi e le presenze, con previsioni di ulteriore contrazione dei flussi”. Ciò non può ridursi ad una mera analisi macroeconomica, ma deve essere recepita dalla classe dirigente per attuare un progetto articolato ed inclusivo. Chi paga il costo della superficialità sono i disoccupati, principalmente giovani, ed i precari. “Il livello di guardia è stato abbondantemente superato”.

 

Non è ammissibile che la nostra Terra sia ancora in parte sconosciuta. Non è giustificabile che dopo oltre sessant’anni di autonomia, la Sardegna, come la sardità, non trovino univoca identificazione. Non è ragionevole che il suo sviluppo debba ancora dipendere dalle sempre più disinvolte richieste di assistenza e dal crescente asservimento indotto dei fattori della produzione. Dobbiamo imparare a scegliere.

 

Per un uomo e una donna, essere sardi, è una delle più grandi fortune. Noi sappiamo chi siamo stati e chi siamo. Viviamo in una fabbrica naturale di potenziale benessere. Conosciamo i nostri confini naturali che racchiudono un paesaggio unico al mondo; che custodiscono suoni, sensazioni, cultura, espressioni e tradizioni che attendono di essere valorizzate con coscienza autonoma. La Sardegna è un libro aperto senza fine e noi tutti abbiamo il dovere di farlo leggere con orgoglio e passione. Siamo noi il punto di congiunzione di un sistema che deve affermarsi, in cui nulla è “altra cosa”.

 

La Sardegna è anche Terra di umane contraddizioni e di devastanti soluzioni. Le parole unità e consapevolezza devono guidarci in un percorso di svolte che diano valore alle specificità. Dobbiamo imparare ad osare, superando e contrastando la cultura di una classe dirigente troppo spesso intrappolata.

 

La Sardegna è la sintesi perfetta di straordinari modelli di vita. Ogni realtà territoriale ha un fascino autentico che rischia di scomparire nella pericolosa standardizzazione. La soluzione non è arrendersi nell’antipolitica, nell’astensionismo, nell’indignazione fine a se stessa. Bisogna maturare il bisogno primario di rivendicazione di una convinta e progressiva autodeterminazione. Dobbiamo diventare artefici della nostra economia e della nostra formazione partendo dagli strumenti di cui disponiamo. Come Popolo dobbiamo credere in noi stessi, istituendo e favorendo forme nuove nei rapporti esterni nel rispetto delle parti.

 

I giovani e gli anziani devono imparare ad unirsi per rivendicare un ruolo attivo della Regione sarda e degli Enti locali che continuano ad apparire largamente sordi, distratti dai loro stessi privilegi e dai loro stessi convincimenti. La politica regionale, delle provincie e di molti comuni è ferma. La Sardegna deve uscire dal pantano culturale. Deve trovare la strada per guardare oltre, rispolverando il vecchio orgoglio e creando essa stessa le occasioni di crescita e di sviluppo. La regione e gli enti locali non sono istituzioni astratte, tantomeno succursali passive delle elargizioni del “benefattore” di turno. Non esiste alcuna “mano invisibile” che aggiusta tutto, esiste un mercato che va coniugato con le esigenze sociali. Che fine ha fatto la revisione dello Statuto sardo? E l’avvio dei sette porti franchi? E le politiche linguistiche? E le bonifiche delle aree industriali fallite? E la valorizzazione dell’ambiente verso la blue economy? E la politica energetica? E la continuità territoriale? E la politica linguistica?

 

La politica sarda deve essere capace di creare alternative, superando la sindrome d’impotenza. Nulla di ciò che accade è riconducibile al caso, ma alle nostre azioni o alle nostre omissioni. Il governo italiano potrà anche rimettere in moto la macchina Italia, ma non vi sarà mai un automatico accrescimento del nostro benessere. Questo sarà solo il risultato della capacità della nostra classe politica di trasformare opportunità in concretezze. I politici devono guardarsi attorno per comprendere le ragioni che li separano dalla gente. Devono accettare il fallimento ed i motivi che lo hanno indotto. Non devono chiedere unità, perché questa è già in atto, contro chi non ha capito che sta amministrando nell’interesse comune.

 

Il cittadino, nonostante l’inconcludente risultato della classe dirigente, ha il dovere di non scoraggiarsi, bensì di affermare la necessità di una comunità politica inclusiva e costruttiva, che faccia perno sul plusvalore della nostra specificità e sui bisogni sociali. È necessario che i sardi accantonino per sempre il disastroso individualismo per maturare la capacità di fare sistema all’interno di una grande intesa della Nazione sarda dentro e fuori le istituzioni.

 

Da troppo tempo i sardi lasciano che le sorti della propria Terra siano decise da altri. Hanno accettato che riforme importanti potessero imporre gli stessi effetti contemporaneamente in Val d’Aosta come in Sicilia, passando casualmente per la nostra Isola. Hanno rifiutato di progettare un percorso di crescita e di sviluppo socioeconomico autonomo, preferendo sperare nell’assistenza di Stato. Tutto ciò ha creato drammi: anonimato, arretratezza, dissipazione di risorse e disoccupazione.

 

Spetta solo ai sardi collaborare correttamente per costruire una Sardegna sovrana in cui l’autonomismo non sia il fine, ma un mezzo per avviare un processo crescente e progressivo di autodeterminazione.

 

L’attore primario di ogni realtà è la persona, che viene prima della società civile e della stessa famiglia. La persona per realizzarsi ha bisogno di istituzioni sociali rappresentative capaci di spingere la Sardegna in una direzione piuttosto che in un’altra. Nessuna organizzazione sociale, nessun partito e nessun movimento devono sentirsi esclusi e titolari di verità assolute.

 

Lo scenario è la Sardegna, Nazione senza Stato. Lo Stato italiano e l’Europa non hanno mai voluto riconoscere il valore intrinseco dell’identità, così come la classe dirigente non ha mai voluto smettere di barattare la sorte dei sardi con la loro personale affermazione politica. Troppo spesso si preferisce essere privilegiati anonimi a Roma piuttosto che protagonisti per la Sardegna. È tempo di assumere una nuova coscienza che parta dal bisogno di affermare la Nazione Sarda nell’ambito di uno Stato plurinazionale. Una coscienza che abbia il coraggio di urlare: Unidade!

 

Macomer, 13 agosto 2012

 

 

 

Il Segretario verbalizzante

Massimo Carboni

 

 

 

Firmato

 

 

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I movimenti - rappresentati rispettivamente da Gianfranco Scalas, Ercole Salis e Giuseppe Pettinaro - hanno scelto la strada dell’unità sulla base di una chiara comunanza interpretativa dell’attualità politica nonché della condivisione delle soluzioni degli annosi problemi dei sardi. La diversità di provenienza politica e di esperienza vissuta in diversi ambiti e realtà culturali, rappresenteranno un concreto arricchimento ed una più incisiva azione rappresentativa.

La Sardegna ha bisogno di cambiare rotta attraverso il rinnovamento della classe dirigente e la capacità di progettare il proprio futuro. L’aggregazione tra soggetti politici non potrà che essere uno strumento per sconfiggere la dispersione e la radicata subalternità alimentata dal centralismo.